Decifrare i dati, legarli uno ad uno perché emerga un significato.
Di alcuni di essi ci sembra di intravedere il senso, di altri non resta che un grande punto interrogativo. Dove sta scritto, però, che ogni arcano debba essere svelato, che ogni nodo debba essere sciolto, possibilmente prima dello scadere del tempo? Qui si tratta della vita, non delle condizioni sulla trasparenza di un contratto commerciale, qui tutto è più complicato. Ci sono alcuni autori della letteratura che ci richiamano al fatto che non tutto è da spiegare, ma tutto da comprendere, da mettere nello zaino e portarselo dietro per sempre come problema. Autori che, pur non negando un senso della storia, ci ricordano che occorre un tempo di svelamento, liberandoci da un’ansia di dimostrabilità immediata.
Federigo Tozzi, scrittore senese di cui quest’anno ricorrono i cento anni dalla morte, parla di misteriosi atti nostri. Misteriosi significa che qualcosa di insondabile li percorre come una vena d’acqua carsica. Non solo, dunque, il mistero abita quello che ci accade, ma perfino quello che agiamo – o pensiamo di agire – noi. Con le sue opere Tozzi ci ricorda proprio che le cose accadono spesso impreviste e insondabili. In Bestie, raccolta di prose brevi, ogni racconto è segnato dal far capolino – quasi a caso – di un animale: la voce narrante ci sta descrivendo una scena familiare, un paesaggio, una preoccupazione e improvvisamente, sotto la finestra di casa, passano degli agnelli che qualcuno porta a vendere al mercato. Oppure durante un litigio a tavola tra moglie e marito, proprio quando i due stanno per venire alle mani per la minestra non salata a dovere, una formica si infila nell’orlo del fiasco: bisogna mettere in salvo il vino e la lite svanisce. Non accade così anche per noi? A volte siamo presi dalle nostre occupazioni, avviluppati nostri pensieri e la realtà irrompe a gamba tesa. “Cioè, in che senso?” ci viene da dire. E chi lo sa? Il dato più importante, però, è che ciò che accade, accade. Forse, con il tempo, tutto sarà chiaro. Sarebbe sciocco forzare ora la mano attribuendo significati arbitrari. Lo dice anche la saggezza popolare: chi vivrà vedrà. In maniera più poetica lo ricorda Mario Luzi in una sua poesia: “Al giogo della metafora –/ così ci sovvengono/ esse. Scioglile dal quel giogo,/ lasciale al loro nome/ le cose che nomini,/ è sciocco/ confermarle/ in quella servitù” . Le cose quando nascono nella nostra mente, ci dice, lo fanno già come metafore. A noi il compito di sciogliere, di lasciarle libere di essere quello che sono. Dirà più avanti Luzi, “Sei tu la metafora./ Lo è l’uomo/ (…) Lo è/ il mondo/ tutto/ da quando è”. Deve essere il mondo a svelarsi per ciò che al fondo contiene, non puoi farlo tu che sei enigma a te stesso.
Del resto, già Dante nella Commedia ci sollecita questo atteggiamento quando nel Purgatorio fa dire a Virgilio: “State contenti, umana gente, al ‘quia’/, ché, se potuto aveste veder tutto,/ mestier non era parturir Maria”. (Purgatorio, III)
Attestatevi ‘al quia’, a come le cose vi si rivelano, non correte a chiuderle in significati parziali. Il perché non è nelle vostre mani.
Si prenda, dunque, spunto da grandi maestri come loro nel guardare ai fatti della nostra vita. Senso e significato sono ancora lontani dall’essere svelati.
Alessandro Vergni
Articolo pubblicato su BombaMag 2020/4