Uscito per le edizioni Odoya, Artisti Visionari. Viaggio ai confini dell’arte e della parola (Bologna, Odoya, 2022, pagine 192, euro 15) della storica dell’arte Roberta Tosi, con poesie scelte di Davide Rondoni, è un testo che guida il lettore dentro il mondo della pittura (e non solo) attraverso secoli, sensibilità e accenti molto differenti tra loro. Esiste però un filo rosso che lega questi maestri delle arti figurative, da Piero della Francesca a Nicola Samorì, passando per Caravaggio, Tintoretto, Cézanne: la visionarietà.
Incontriamo Tosi nella sua Verona. Seduti in caffè parliamo soprattutto di questo, di cosa significhi essere visionari. Tosi ci spiega che occorre innanzitutto definire bene cosa è visione. Visione non è appena la capacità di immaginare una situazione futura, così come non è la bizzarria o la stravaganza, oggi purtroppo molto di moda parlando di artisti. Visione è innanzitutto la capacità di penetrare la realtà andando oltre l’apparenza, riuscire a percepire come tutto non si esaurisce in ciò che stiamo facendo. Cercare, in altre parole, una realtà già presente dentro ciò che più immediatamente si dà ai nostri occhi. Per questo sono visionari pittori come Géricault, che con la sua zattera sonda ossessivamente l’animo umano messo alla prova della sopravvivenza, o Caravaggio, che rappresenta l’immagine di Giovanni Battista, incarcerato e decapitato, portandovi dentro la sua vita di esiliato e di condannato (non sappiamo ancora se giustamente o no), fino ad arrivare a quella firma scritta col sangue del martirio. E non da meno sono Burri, che nei materiali comuni e di scarto trova un’anima profonda e bella tanto da trasformarli in opere d’arte, tanto da farli diventare ferite della e nella nostra anima, o Nicola Samorì, che porta in scena un uomo ormai segnato dal disfacimento dell’anima, sintesi mirabile del nostro tempo, eppure abitato da una profonda nostalgia per una bellezza ormai perduta.
Visionari, quindi, non perché creatori di artifici o di spettacolarizzazioni con le quali rubare la nostra attenzione, ma perché in grado di rilevare quello scintillio nascosto in tutte le cose e di indicarlo agli altri. Come per il piombo usato da Kiefer che lui sosteneva essere il materiale che maggiormente si avvicina alla natura umana, un materiale all’apparenza privo di luminosità, che pure contiene al suo interno particelle d’argento che custodiscono quella luce apparentemente negata. Artisti visionari, dunque, in cerca dell’invisibile, come nella quarta di copertina si legge del dialogo riportato tra Rondoni e il suo professore all’università: Raffaello, Michelangelo e tanti dopo e prima di loro cercavano l’invisibile nel visibile, perché senza il visibile non si può, ultimamente, sperimentare nemmeno l’invisibile, e viceversa. In una delle poesie contenute nel volume, a commento della sezione dedicata a Piero della Francesca, Rondoni scrive: «La resurrezione come un movimento/ già iniziato nelle cose».
Visione, dunque, come anticipazione non di ciò che sarà, ma di ciò che già è. I grandi artisti di ogni tempo restano eterni proprio per la capacità di sorprendere, sorprendersi e sorprenderci in quel misterioso movimento già presente nel mondo.
Alessandro Vergni
Pubblicato su L’Osservatore Romano del 1 dicembre 2022