Nel corso del suo Pontificato Papa Francesco è più volte intervenuto pubblicamente
sull’importanza delle storie e della letteratura. Lo ha fatto in occasione della Giornata delle
Comunicazioni del 2020 e con grande forza è tornato su questo tema ampliando con la
Lettera sul ruolo della letteratura nella formazione nell’estate 2024. A novembre è uscito per
le edizioni Vita e Pensiero “Letture. La verità della finzione” di Silvano Petrosino, volume che
analizza la rilevanza della letteratura nell’ambito della riflessione sulla vita umana.
Professor Petrosino, il 1 novembre è uscito per la editrice Vita e Pensiero “Letture. La verità
della finzione”, volume che raccoglie undici suoi interventi su altrettanti capolavori della
letteratura mondiale. Come mai ha sentito l’urgenza di questa raccolta e perché proprio in
questo momento?
In parte ciò è legato al fatto che mi sto avvicinando ad un punto importante della mia vita
professionale, la quale è stata particolarmente intensa. Poi per un motivo ancora più
profondo. Ripensando al percorso fin qui compiuto, mi sono accorto che nel mio lavoro di
insegnamento e di ricerca, nelle mie conferenze, la mia attenzione ha sempre fatto
riferimento, quasi spontaneamente, a due temi: la letteratura e la Bibbia. Questo, tra l’altro,
non essendo io né un letterato né un biblista. Per la verità ci sarebbe stato anche un terzo
ambito che mi ha sempre affascinato, ma che non ho praticato, la psicoanalisi, ma quella è
un’altra storia.
Infatti, lei è un filosofo, come mai allora si è sempre concentrato su questo?
Mi sembra di essere stato attratto dalla letteratura e dal grande racconto biblico perché sono
ambiti nei quali, meglio che in ogni altro, posso trovare una parola autentica su cosa sia
l’esperienza umana, su cosa il vissuto porti con sé; mentre il più delle volte mi pare di sentire
discorsi superficiali o addirittura menzogneri. Questo per me è stato il punto: la ricerca di
elementi di autenticità relativi al vissuto soggettivo. In questo senso è illuminante quanto
affermato da Lacan quando asserisce che gli analisti hanno a che fare con degli schiavi che
si sentono padroni.
In che senso questi elementi contengono un’autenticità e un enigma?
Quando tuo figlio ti domanda “Papà, quando hai conosciuto la mamma?” tu gli racconti una
storia. Al tempo stesso, nella lingua italiana, l’espressione “raccontare storie” vuole anche
dire “raccontare delle bugie”. Ecco allora che il riferimento al testo letterario e alla Bibbia è
relativo a questo tentativo di dire un po’ di verità sul vissuto umano. Questo è il nucleo della
questione al centro del volume.
Per lei la letteratura non parla della vita, ma di alcuni aspetti dell’esperienza umana. Che
differenza c’è fra queste due frasi che appaiono tanto simili?
Se c’è una tesi alla base del libro è proprio il provare a far chiarezza su questo. Prendiamo
ad esempio la figura di Satana in Milton. Milton fa dire a Satana, allorquando vede il
Paradiso Terrestre e Adamo ed Eva che si abbracciano: “Come sono belli, li potrei amare.
Però io sono il diavolo, sono venuto per odiarli”, preferisce cioè identificarsi con la sua
supposta natura piuttosto che accettare l’evidenza. Milton, da grande scrittore qual è, nel
mostrare questo realizza un capolavoro e indica con chiarezza un tratto, non della vita, ma
del vissuto soggettivo. Ognuno, infatti, nel corso della propria esperienza, può perdersi
nell’immagine che si fa di sé.
Attraverso la scelta degli autori e delle opere contenute nel suo lavoro si ha l’impressione
che, almeno implicitamente, lei stia prendendo le distanze da un’idea di arte che si sente in
dovere di educare, di mostrare allo spettatore una morale. E’ così?
Un grande autore non scrive quello che vuole, scrive quello che deve. C’è un’urgenza nello
scrivere e dello scrivere. Lo scrittore non ha il problema di educare, non deve salvare o
convertire nessuno, deve scrivere quello che deve scrivere. Oggi, invece, la letteratura, il
cinema, fanno spesso il contrario e inseguono i temi del momento, cadendo così nella
trappola dell’attualità.
Però la vera letteratura, pur non volendolo, educa lo stesso. Come è possibile?
Lo fa in quanto cerca di dire la verità, e la verità educa. Occorre ribaltare i termini della
questione, quindi: non è che un autore vuole educare e allora dice la verità, ma dicendo la
verità educa. E’ il tema dell’urgenza della scrittura. L’artista cosa deve fare? Mi ripeto: egli
deve fare quello che deve fare, ed è nella misura in cui rimane fedele a questo imperativo
che diventa anche un soggetto educante. Facciamo un esempio. Quando a volte le maestre
o le professoresse a scuola dicono ai ragazzi “dillo con parole tue”, ecco, lo scrittore non può
farlo, perché quello che scrive è l’unico modo in cui quella verità, cercata o incontrata, può
essere detta. Non ci sono al mondo altre parole per farlo. Questo è il suo compito.
Lei prende in esame quasi esclusivamente autori del passato. Mi corre allora l’obbligo di
domandarle in cosa consista la contemporaneità di un’opera.
Che cos’è un classico? Perché Pinocchio è un classico, così come lo sono l’Iliade e
l’Odissea? Perché, pur nei suoi limiti, non tradisce l’umano e chi non tradisce l’umano
rimane, Invece oggi, purtroppo anche nella scuola, si cerca l’attuale, non il contemporaneo.
SI ricorre cioè ad una sorta di astuzia pedagogica nella convinzione che se uno scritto è
attuale, nel senso di recente, allora è in grado di intercettare meglio le domande dei ragazzi.
A me questa strada non convince.
Altro fenomeno per rendere più vicini gli autori ai giovani è poi quello di attualizzare ad
esempio le fiabe secondo una sensibilità dei nostri giorni. Lei ha lavorato e ricercato molto
proprio sulle fiabe, quindi immagino che abbia un’idea chiara sul tema.
Torna il tema del voler educare facendo dire ad alcune opere cose che non hanno mai
inteso dire. Anche questa è una trappola. Se vuoi dire qualcosa di nuovo, per rispetto delle
fiabe, dei romanzi, scrivine di nuovi, non stravolgere quelli che già ci sono. E ricordati che la
letteratura non dà mai soluzioni, ma lascia il campo aperto alle risposte che ci vengono
incontro dal paragone tra il testo e la nostra esperienza.
A proposito dell’esperienza, ho fatto questo esperimento: ho chiesto all’Intelligenza Artificiale
di spiegarmi Il Procuratore di Giudea di Anatole France. La differenza tra quello, elaborato
artificialmente, e il suo, contenuto nel libro, è notevole. Mentre nel primo caso ho avuto una
descrizione del testo dotta, ma abbastanza piatta, nel secondo mi sono trovato dinnanzi ad
una immedesimazione con esso. Mancava nel primo caso il cuore. Allora le domando:
quanti sono gli attori che entrano in gioco quando leggiamo un romanzo?
Questa è la cosa meravigliosa che accade in modo supremo con la Bibbia: tu riesci a
leggere solo ciò che contribuisci a scrivere, cioè tu non sei uno spettatore, sei un attore della
scena. Tu intervieni facendo intervenire ciò che leggi nella tua vita e ciò aggiunge qualcosa
ad essa. Ogni lettore è un ri-lettore, ma in un certo senso ogni lettore è anche uno scrittore.
Ma questo è quello che accade nella nostra esistenza; come sostiene Von Balthasar, se
avesse fatto tutto Dio noi saremmo inutili. Per questo dico sempre: come si legge un libro?
Con la matita, perché bisogna sottolineare, glossare.
Quindi, riprendendo il titolo del capitolo che lei dedica ad Anatole France, non basta
incrociare un testo, va innanzitutto incontrato…
Certamente, perché nell’incontro ci sei tu, cioè il lettore – scrittore. Io chiamo questo proprio
la legge dell’incontro. Qualcosa ti viene incontro solo nella misura in cui tu gli vai incontro.
Prendiamo ancora un esempio dal racconto biblico: Mosè è nel deserto a pascolare, è nella
sua quotidianità. Ad un certo punto vede il roveto ardente. Si meraviglia e va a vedere. E’ a
quel punto che il roveto gli parla, non prima; il roveto ha parlato perché Mosè è andato lui
incontro. L’incontro infatti è questo doppio movimento dei due soggetti della storia. Mosè
viene preso nella sua quotidianità da qualcosa a cui decide di accostarsi.
Cosa permette allora, dentro il quotidiano, di far fare il primo passo verso quel qualcosa che
suscita stupore?
L’attenzione, che vuol dire il cuore e tanto altro ancora. Prendiamo il salmo 18: “I cieli
narrano la gloria di Dio”, ma c’è bisogno di qualcuno che legga questa narrazione, altrimenti
sarebbe tutto inutile. Secondo me è il motivo per cui Gesù non risponde alla domanda di
Pilato “Che cos’è la verità?”; probabilmente Gesù percepisce che la domanda di Pilato non è
mossa da un desiderio, da un’attenzione autentica, ma da una curiosità superficiale.
Se le chiedessi di selezionare uno tra gli undici autori contenuti in Letture per lei più
significative, quale citerebbe?
Celine e il rapporto tra verità e allucinazione nella vita dell’uomo. E’ il tema che riguarda il
fantasmatico, la realtà che è più di se stessa perché allude e contiene una dimensione più
profonda, simbolica. E’ anche quello che scrive Singer a proposito del demone. La realtà
contiene anche per lui un mistero che ci raggiunge attraverso la soglia dell’apparenza.
L’amore salva tutto, perché supera il visibile ed è capace di trasformare anche quel demone.
Oppure pensiamo a don Chisciotte, citato nel capitolo su Wallace. L’allucinazione di don
Chisciotte è seria: Dulcinea, la moglie dell’oste, i mulini a vento sono tutte figure trasformate.
Sancho Panza sa che il suo signore è pazzo, eppure lo segue.
In tutti questi casi abbiamo ben descritta una realtà abitata anche dal male.
Cassirer parla dell’aggrovigliata trama dell’umana esperienza. Nell’esperienza dell’uomo non
ci sono solo cose belle, ma anche delitti, nefandezze. Come nella parabola del grano e della
zizzania dobbiamo prendere entrambe le cose, perché quando pretendiamo di separare a
priori, artificialmente, il bene dal male – bypassando il problema della libertà – accade quello
che ci mostra Dr. Jekyll e Mr. Hide: la nascita dei mostri.
Abbiamo detto che occorre attenzione. Se in conclusione le chiedessi da cosa nasce una
storia, cosa mi direbbe?
Dallo stupore e dalla paura, le due cose vanno sempre insieme. Statisticamente il tema del
dolore, del timore, tende a prendere il sopravvento. Aristotele dal canto suo sostiene che la
filosofia nasce dallo stupore e non dalla paura. Questo, dal punto di vista religioso, è molto
interessante, in quanto una religiosità che nasce dallo stupore è ben diversa da una
religiosità che nasce dalla paura. Sono però temi intrecciati. E comunque è sempre
un’eccedenza il motore che provoca meraviglia e che dà avvio alla narrazione della storia.
Alessandro Vergni
Intervista pubblicata ne L’Osservatore Romano del 3 gennaio 2025