Liberi di cadere

n amico americano mi spiega che nel nostro tempo il primo nemico da combattere nell’educare i giovani è la tentazione di preservarli dal rischio che nasce dall’incontro con quello che è altro da loro. Soprattutto nella fase della vita che va dagli 8 ai 15 anni, quella fase definita delle “prime volte”, perché per la prima volta un ragazzo deve confrontarsi in modo diretto con il mondo esterno cercando soluzioni agli imprevisti: all’autobus perso, al telefono da ricaricare, al primo innamoramento che non va come si sognava. Proprio lì, noi adulti facciamo il possibile per evitare ai figli l’esperienza del dolore che deriva dal trovarsi davanti ad esiti che non sono nelle nostre mani. C’è addirittura una serie su Netflix che descrive questa dinamica immaginando – speriamo solo immaginandolo – un software da impiantare negli adolescenti grazie al quale i genitori possono evitare ai ragazzi qualsiasi forma di stress, oscurando la realtà quando questa sembra uscire dai binari (Black Mirror – Arkangel).

Oggi mia figlia, ai campionati studenteschi di atletica, ha fatto squalificare la propria squadra per invasione di corsia durante la staffetta. Avrei voluto allargagliela io, non lo nascondo, quella maledetta linea che l’ha tradita, ma non avevo nessun dispositivo tecnologico che me lo consentisse e Anna, per una frazione di secondo, l’ha oltrepassata. Cosa dire per poterla consolare? Forse che non c’è proprio niente da consolare. Cara Anna, non posso spostare le righe, non posso togliere le tue lacrime che è giusto che tu adesso pianga, perché quando la realtà fa male, piangere è il nostro modo di dirle che non possiamo fare a meno di lei. Posso solo stare accanto a te, per aiutarti a vedere come questo passo falso non sia lì per eliminarti dalla vita, ma per divenire un nuovo e misterioso passo in avanti per scoprire chi sei tu e chi sono i campioni che piacciono tanto a te e che, a loro volta, costruiscono i loro record anche attraverso le cadute che non vorrebbero. Lo sbaglio, la caduta, il rischio –  quelli che vengono da fuori come quelli nostri – sono parte del gioco, come la responsabilità che ne deriva. Ma la vera responsabilità è comprendere che siamo più di tutto questo, che non siamo né il nostro errore, né la nostra vittoria, che il nostro cammino è pieno di cadute e di qualche successo e che tutto serve grandiosamente alla costruzione della nostra persona. Che non c’è responsabilità senza libertà, per fortuna siamo nati liberi. Questo dovremmo imparare: non tanto a fare i conti con il pericolo, ma con la nostra libertà.

Solo così saremo finalmente liberi di cadere, di rialzarci ancora e riprendere la corsa.

Alessandro Vergni

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