a vita, amico, è l’arte dell’incontro”. Chi mi frequenta sa che questa frase l’ho messa come stato nel mio profilo whatsapp.
Mi capita sempre più di andare in giro per l’Italia. Viaggio per lavoro, per passione, per non appassire.
Ogni viaggio è la possibilità di fare decine di incontri. Si incontrano le case, i portoni, le persone, gli scorci lungo le strade. Ci si muove per andare a degli incontri e lungo il cammino si fanno incontri. Alcuni prevedibili, altri per fortuna, no. In-contro, parola contradditoria. Forse quel contro significa che di primo impatto avvertiamo ciò che è altro da noi come una minaccia, un pericolo per la nostra identità, ma quel in anteposto, quel senso di andare dentro, ci disarma mostrando il fatto che dobbiamo entrare nelle vite degli altri per divenire più noi stessi.
Quando sono in giro, il più delle volte vago apparentemente senza meta. Ci sono quelli che mi dicono: con te viaggiare è un tormento, non si può ciondolare senza un obiettivo. Per me, invece, è proprio in quel movimento apparentemente insensato che sta il segreto e il fine del viaggio: entrare nelle cose. Per entrare nelle cose devi perderti in esse. Occorre perdersi dietro le quinte delle città, dei luoghi; confondersi con le scene, acquisire il ritmo del loro respiro. Ogni luogo, ogni persona, ha il suo. È una musica che devi imparare ad ascoltare: o presti l’orecchio, o continui a sentire solo te stesso.
Tanti incontri segnano la mia vita. Quello con Franco è uno di questi. Ci siamo conosciuti perché ho peccato di vagabondaggio ancora una volta, seguendo una proposta che sembrava da matti e un filo rosso, che parte dalla tomba di Dante a Ravenna, mi porta a parlare fitto nel vento incerto di marzo al centro della piazza della mia città. Siamo insieme da una manciata di ore, ma Franco è uno con cui puoi parlare subito della profondità delle cose, perché, si capisce, parliamo la stessa lingua. Si parla di arte, del nostro comune padre Dante, del fatto che nella vita bisogna rispondere a qualcosa di grande che chiama continuamente ad andare. Anche quando l’apparenza delle cose sembra dire il contrario, bisogna stare lontani dal calcolo. Citando due giganti del nostro tempo mi racconta di quando, da ragazzo, pose loro la domanda sulla ricerca del senso di ciò che stava facendo: i frutti di quello che fai oggi li vedrai, forse, fra 600 anni; tu, per ora; preoccuppati di mettere la benzina nel pulmino e vai. Che sia giusto partire non te lo dice la legge o la morale, ma la certezza di essere nel posto in cui avverti la bellezza mista alla tristezza corrispondere alla tua vita. Sapere di essere in un luogo di consolazione di tutta la propria fragilità. Questa vita, che non è mai come ce la immaginiamo, come le donne, del resto: cercavi una bionda e passi il resto dei tuoi giorni con una mora, perché lei ha dentro una nota che altrove non c’è. La vita è proprio così: una donna straordinaria. Come dice Evo de Moares in quel Samba da Benção : “(…) Una donna deve avere qualche cosa in più della bellezza./Qualche cosa che piange, qualche cosa che ha malinconia/ un’aria di amore tribolato; una bellezza che viene dalla/ tristezza di sapersi donna fatta per amare, per soffrire/ d’amore e per essere solo perdono”.
Alessandro Vergni