“Per alcuni minuti Biondi-Capelli aveva pensato seriamente di spostare la gamba sinistra. Nonostante il fastidio della sua posizione attuale fosse quasi insopportabile, il movimento non era così facile a farsi. Non in quel buio, serrati come erano gli uni contro gli altri”.
Sono passati dieci anni, un tempo fatto di attesa per recuperare ciò che per sorte e per tradimento lo ha lasciato con un pugno di mosche in mano. Menelao – Biondi-Capelli, attende il segnale della battaglia dall’interno del cavallo di legno posto ormai dentro la cinta muraria di Troia. Intanto rimugina tra sé il comportamento da tenere una volta ripresa Elena: “Forse, dopo averla presa brutalmente egli stesso, l’avrebbe data agli altri prigionieri per loro godimento…Ma egli l’avrebbe fatta pagare cara agli schiavi che a loro volta osassero toccarla…Non l’avrebbe torturata – però – …Lei era giovane; solo una ragazza. Avrebbe potuto averne pietà. Forse sarebbe stato meglio ucciderla e basta”. Ce la presenta con questo duello interiore la fase finale dell’Iliade C.S. Lewis in Dieci anni dopo, racconto tratto da Prima che faccia notte. Menelao, giunto a questo momento cruciale della storia, con la riconquista di Elena a portata di mano, vive al suo interno un febbrile crescendo di tensione emotiva mista di orgoglio, di rabbia e d’amore.
Tra qualche ora, forse solo una manciata di minuti, potrà nuovamente afferrare la mano di quella ragazza e ricondurla alla sua dimora, all’ordine delle cose.
Poi arriva a palazzo e fa un incontro destinato a cambiare la sua coscienza più di tutto quello che ha dovuto affrontare:
“Quattro fini colonne sostenevano il soffitto dipinto, e tra loro pendeva una lampada che era un capolavoro di oreficeria. Sotto a questa, con la schiena contro una delle colonne, una donna, non più giovane, seduta a filare la sua conocchia, come una grande signora potrebbe sedere nella propria casa, centinaia di chilometri lontano dalla guerra. Menelao aveva passato delle imboscate. Sapeva quanto costa anche a un uomo d’esperienza trovarsi sempre sul ciglio di un pericolo mortale. “Quella donna potrebbe avere sangue divino nelle vene” pensò, Decise di domandare dove poter trovare Elena. Glielo avrebbe chiesto cortesemente.
Lei sollevò lo sguardo e interruppe la sua filatura, ma ancora non si mosse.
“La bambina” disse a voce bassa, “è ancora viva? Sta bene?”
Allora, aiutato dalla voce, egli la riconobbe. E assieme al primo istante di riconoscimento, tutto quello che aveva costituito il nerbo del suo pensiero negli ultimi undici anni crollò in una rovina senza speranza.”.
Menelao, giunto al cospetto di Elena, non la riconosce. L’ha pensata, desiderata, pretesa per undici lunghi anni e una volta che se la trova davanti non riconosce ciò verso cui tendeva. Ha vissuto di un’immagine del passato proiettata in un futuro inesistente. Intanto il tempo, impietoso, ha condotto la sua guerra su tutti, compreso il volto di lei. La consapevolezza che quella non giovane signora, in cui si imbatte mentre corre verso la sua ragazza, è proprio Elena muove in lui un senso di inadeguatezza per ciò che vede. La vita lo ha preso in contropiede.
“Per un istante dentro di lui non ci fu niente e basta. Perchè non si era immaginato che lei potesse apparire così; mai sognato che la carne si accumulasse sotto il mento, che il viso potesse essere tanto grasso e allo stesso tempo tirato, che avesse capelli grigi sulle tempie e rughe sotto gli occhi. Persino la sua altezza era inferiore a quella che lui ricordava. La magnifica levigatezza della pelle, per cui un tempo sembrava gettar luce dalle braccia e dalle spalle, se ne era andata del tutto.”
Menelao sta mettendo il sigillo del vincitore alla fine di una sanguinosa guerra decennale e nello stesso istante si accorge di aver perso una guerra ben più grande: quella con la realtà che sembra aver giocato con lui come una vecchia megera. C’è qualcosa di universale in tutto questo. Lo capiamo bene adesso che ci stiamo avvicinando “pericolosamente” al confine di questa quarantena che ci ha tenuti stretti nelle case come Menelao sui campi aperti ai piedi di Troia prima e nell’angusta pancia del cavallo di legno poi. Dobbiamo guardare in profondità questo tempo di attesa che stiamo esaurendo. Occorre domandarci come abbiamo condotto questa guerra. E’ necessario capire cosa abbiamo messo a fuoco, cosa ha bruciato la nostra anima. Indagare se pur in questa apparente immobilità non sia nato qualcosa. E’ stata attesa dell’irrompere di una novità o solamente una sospensione tra una pretesa età dell’oro e un futuro in cui tutto potrà tornare nell’ordine delle cose? Abbiamo cercato di capire realmente il senso del momento presente? Perché una cosa è sicura: come per Elena, anche per noi il tempo, nel bene e nel male, avrà fatto il suo corso. Ce lo dimostra la natura che infischiandosene di virus e decreti ha schiuso mirabilmente le sue porte alla resurrezione della primavera. Così, quando ci rincontreremo, fissandoci negli occhi nell’istante che precederà il nostro abbraccio, cosa sorprenderà il nostro sguardo?
Alessandro Vergni
Articolo pubblicato su BomaMag 2020/2.