Tardo pomeriggio alle porte dell’estate. Sulla piazza assolata la brezza che sale dal mare passa tra le voci dei bambini che corrono gridando. La scuola è finita e le commissioni d’esame preparano già i piani d’attacco per “quelli più grandi”: criteri di valutazione, programmi, argomenti, il plexiglass tra i banchi a complicare le cose. Davanti ai portici della libreria un gruppo di persone, sedute a distanza, ascolta un testo letto al microfono, un brano di Paul Auster, una storia ambientata in una città ben diversa da questa di provincia: a New York, nella grande mela da mangiare prima che lei mangi te (Città di vetro, Paul Auster). Fine della lettura, interventi dal pubblico. C’è chi ringrazia per il brano scelto, chi tenta di interpretare significati nascosti, chi prova coraggio e si spinge più al largo: “E se l’autore avesse voluto dire che…?”, “se il personaggio fosse stato in un’altra città…?”, “forse… magari..”. Poi la voce decisa di chi guida l’incontro: “No. il protagonista vive a New York, non in un’altra città. Non si può andare oltre la pagina. La letteratura è despota: comanda lei. La pagina è più forte di noi. La storia è quella, non un’altra”. Per un istante è come se sui sampietrini, tra i capelli arruffati degli ascoltatori, sui tavolini dove giacciono borse e cellulari, passasse una brezza più intensa; su alcuni, forse, non certo su tutti. Quell’affermazione netta: “La storia è quella, non ne esiste un’altra, ci piaccia o no”, suona violenta per il sospetto che batte al centro del petto: se ciò non valesse solo per la letteratura? Se ad essere despota fosse anche la vita? Perché al fondo non siamo noi a decidere chi siamo; non abbiamo scelto il nostro nome, da chi siamo nati, chi abbiamo incontrato per strada, fino a quelli che sono adesso, qui, nella piazza con noi. A pensarci bene, nemmeno gli amori ce li siamo mai scelti e capita di sorprendersi, a distanza di anni, ancora insieme a qualcuno e dire “grazie a un incontro avvenuto per caso”. E quando invece i conti non tornano? Quando facciamo esperienza della fine della bellezza nella nostra storia? Quando ci accorgiamo che siamo tagliati in modo diverso da come avremmo voluto? Quando il bilancio ci dice che le cose sono andate diversamente da come le avevamo sognate o più semplicemente immaginate? Quando cioè pensiamo a tutte le infinite possibilità che avremmo potuto scegliere e che potrebbero essere ancora lì, dietro la porta, se solo volessimo allungare la mano – e invece non possiamo? L’unica possibilità allora è scommettere sulla vita così come viene, passare dall’idea che esistano infinite possibilità a quella più vertiginosa che ce ne sia solo una – scelta per noi – che apre all’infinito. Per accettare questo come ipotesi su cui costruire occorre però porsi un’altra domanda: chi sta scrivendo la mia storia? Chi sta disponendo la scena dentro alla quale si muovono le mie giornate? Chi muove i personaggi che si affacciano nel racconto che parla di me? Ci si può davvero fidare di questo scrittore? E’ una questione che forse capiremo del tutto solo alla fine, ma la centralità di questa domanda, la sua urgenza, si definisce in modo sempre più nitido col passare degli anni: quando arrivati all’apice della parabola sembra di dover iniziare a restituire qualcosa che stiamo ancora pagando. Forse, con i fatti di questi mesi, iniziano ad intuirlo un po’ meglio anche i giovani che devono però trovare adulti disposti a prenderli sul serio. Non auguriamo loro, allora, la solita bocca del lupo che protegga dai pericoli del bosco. Smettiamola di recriminare: “i nostri figli non meritavano di fare un esame in questo modo”. Non hanno bisogno di essere protetti, ma lanciati sulla strada, per come essa si presenta, in compagnia di un’ipotesi positiva. Auguriamo loro, nella giungla di WhatsApp o da dietro gli scudi di plexiglass di iniziare quel viaggio alla ricerca dell’autore che sta tessendo, in modo così misterioso, la trama della loro esistenza e che la Maturità possa essere una tappa di questo cammino. Per loro quest’estate si chiude un ciclo e contemporaneamente si spalanca il mondo. E per noi?
Alessandro Vergni
Articolo pubblicato su L’Osservatore Romano del 18 giugno 2020.