Qualche sera fa è andata in onda su Rai5 la puntata di Nessun Dorma, programma di approfondimento
musicale condotto dal bravo Massimo Bernardini, dedicata a Claudio Chieffo, cantautore scomparso nel
2007.
A Claudio la mia vita è legata, non tanto perché lo conoscessi di persona – ebbi la sorte di incontrarlo solo
un paio di volte e di scambiare con lui qualche battuta veloce – quanto perché la sua musica ha sempre
riecheggiato per le stanze di casa mia sin da quando ero bambino e poi, crescendo, attraverso la mia
chitarra cantando insieme agli amici, perché canti capaci di raccontare tante cose di me e di quello che
vivevo.
Così, risentire le sue canzoni nel canale culturale della Rai mi ha fatto un certo effetto. Ancor di più mi ha
suscitato stupore vedere come quelle parole e quelle note risuonano ancora oggi in tanti cuori che magari,
differentemente da me, non hanno avuto vicinanza storica e ideale con lui. Penso a personaggi affermati
della scena artistica contemporanea come Luca Carboni, Ambrogio Sparagna, Gioele Dix, Michele Monina,
Marketa Irglova, e altri; penso ai giovani ospiti in studio come Giua, Santoianni e ai musicisti Emanuele
Sartoris e al duo Cavalazzi che li hanno accompagnati. Tutti riuniti dal figlio di Claudio, Benedetto, nel
progetto Chieffo Charity Tribute.
Tuttavia, per l’intera durata della trasmissione, ha viaggiato in maniera carsica una nota invisibile, un nome
mai detto. Una chiave senza la quale è impossibile leggere lo spartito di uno come lui: la sua appartenenza
al movimento nato dal carisma di don Luigi Giussani. Non è un fatto secondario, non si tratta di una
semplice notizia storica. Claudio Chieffo non è stato appena un intellettuale con una forte critica pasoliniana
verso la società consumistica, così come è troppo generico definirlo cantautore appartenente al mondo
cattolico. Chieffo era un uomo che aveva incontrato Gesù Cristo incontrando negli anni ‘60 gli amici di
Gioventù Studentesca (poi Comunione e Liberazione) – che per dirla tutta, in quegli anni, come in buona
parte dei decenni a venire, ha rappresentato un’identità radicale, riconoscibile, non catalogabile e per questo
mal sopportabile, da destra, da sinistra, dal centro e dalle sacrestie.
Del resto, era la cifra del carisma di don Giussani, uno per cui la risposta alle domande del cuore dell’uomo e
della società non venivano da un approccio alla fede di tipo tradizionalista, né da un’azione rivoluzionaria
antisistema, ma dall’incontro con Gesù di Nazaret. Qui stava – e sta – la vera sfida al potere cantata da
Claudio. Non mettere in giusta luce questo aspetto rischia di lasciare in ombra non CL, ma Chieffo stesso
relegandolo al ruolo di genio incompreso. Non è questione di partigianeria, quanto il fatto che senza questo
dettaglio diventa incomprensibile anche la poetica espressa nella sua opera.
Chieffo era un cantautore anomalo perchè cantava un’esperienza di fede, e non cantava davanti a, ma
cantava con; anche se sul palco la voce era la sua, con lui cantava un popolo perché, come i geni fanno,
sapeva interpretare attraverso le sue canzoni un fatto che stava cambiando la vita di tanti. Per questo non
era un prodotto del mercato discografico; né è stato affermazione solipsista della propria personalità, come
tanti suoi colleghi invece sono: era espressione di un popolo.
Era la sua concezione, ed era la sua vita.
Così, non stupiscono le frasi con cui si chiude lo speciale, ricavate da una delle ultime interviste al
cantautore forlivese: “Vorrei avere sempre degli amici per cui cantare, una macchina per viaggiare e una
casa dove tornare”. Amicizia, missione, compimento.
Grazie, Claudio, per la tua musica. Grazie, a Dio, per la Sua strada.
Alessandro Vergni