Una forma radicale di poesia

Poesia e preghiera, con la congiunzione che può diventare anche verbo essere: poesia come preghiera e viceversa. Di questo e altro parla questa conversazione con Giuseppe Conte, poeta, narratore, saggista e traduttore, che si dice colpito dall’atto di Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al cuore di Maria fatta da Papa Francesco il 25 marzo scorso per invocare la pace.

Giuseppe Conte, in un suo post su Facebook all’indomani dell’atto di Consacrazione della Russia e dell’Ucraina al cuore immacolato di Maria fatto da Papa Francesco lei si dichiarava molto stupito. Ci vuole spiegare perché?

Vengo sempre colpito dalle posizioni che assume Francesco, perché in questo momento rappresenta l’unica voce al mondo che ha una grande autorevolezza in campo politico, sociale, etico e morale. Mi trovo sempre in sintonia con le sue dichiarazioni e prego ché questo Papa duri ancora a lungo. Quando ho letto il testo della Consacrazione di Russia e Ucraina al cuore di Maria mi sono sorpreso molto. Questa supplica ha una solennità dantesca. Si pensi all’Inno alla Vergine al termine della Divina Commedia: al culmine del Paradiso c’è quel passaggio rivolto alla madre di Dio, al femminile; è Lei che dà la possibilità a Dante di vedere Dio. Ci ho riflettuto moltissimo, ne avevo parlato anche nei miei ultimi libri: tutti abbiamo bisogno di una madre, anche Dio. Ecco, la madre, la consacrazione alla madre, al femminile, a quello che non fa la guerra ma che dà la vita, mi è sembrato religiosamente e poeticamente bellissimo. Il tono della preghiera è molto accorato, molto alto. Tutto questo mi ha colpito. 

Sembra tuttavia che il gesto del Papa non sia stato colto ovunque in tutta la sua profondità e vastità.

L’amico Alessandro Rivali mi ha telefonato la sera successiva e mi ha detto: hai visto come l’hanno passato sottogamba i grandi media? Questo mi ha suscitato un’altra ondata di riflessioni: perché una posizione così bella, importante, autorevole e universale è stata sottaciuta? C’è una sorta di ostilità o di diffidenza verso posizioni che richiamano al livello spirituale. Siamo purtroppo alla parodia del laicismo, siamo ad un laicismo senza sostanza. Quel commento che ho fatto in quel post su fb nasceva proprio da questa mia riflessione sul perché. Se oggi siamo dove siamo è perché abbiamo messo al primo posto nella scala dei valori l’economia e la finanza. Io non sono, per mia storia personale, un nemico della proprietà privata o dell’economia; non che l’economia non sia importante, ma non è la prima. Perché invece vale solo questa? Perché è l’economia dei padroni. Allora, chi non pone l’economia al primo posto, ma la politica,  lo spirito, la folle energia della visione spirituale, in qualche modo non serve. Il mio sospetto è che anche certe posizioni militariste siano pilotate dal potere economico che, evidentemente, ha interesse ad alimentare una situazione come quella attuale. Se arriviamo ad occultare la parola di uno come Francesco, che è un maestro assoluto dello spirito, se addirittura se ne vedono degli attacchi, pur velati, ciò significa che siamo ad un livello pazzesco, vergognoso e insopportabile. L’Atto di Consacrazione di Francesco, invece, è un fatto che potrebbe condurre ad un accordo, ad una pace e alla fine della morte.

Per i poeti le parole non sono materia secondaria. Quale parola secondo lei manca nel dizionario del racconto di questi mesi.

La parola pietà. A me fa pietà chi muore. Non sento l’estasi di gloria per chi combatte, ma la pietà per chi cade. La centralità dell’umano, della persona, che è la grandezza del cristianesimo, ma anche il senso della visione religiosa della vita. Il mettere al centro la persona, i valori umani, la pace e la pietà.

Ho recentemente parlato con Adonis, poeta arabo, Mi ha detto, sai noi arabi siamo stati distrutti in questi decenni, Iraq, Siria, Libano, Yemen, Libia. C’è un intero fronte di Paesi arabo-islamici che escono martoriati dalla storia recente. Che l’Europa oggi non veda che tutto il mondo arabo è stato toccato dalla forza militare e dalla guerra, che sono morte milioni di persone, migliaia di bambini. Si tratta di onestà intellettuale e il discorso del Papa si rivolge anche al mondo musulmano. E ai laici senza pregiudizi.

Quanto espresso da Francesco è davvero la posizione più universale e per la quale è possibile pensare al futuro del pianeta Terra. Tra l’altro sul problema ecologico, e il Papa parla ha molto a cuore anche quello, egli ci ricorda che ogni guerra sarà un peggioramento terribile delle condizioni del pianeta. Credo quindi che la sua visione sia davvero quella che apre più prospettive.

Lei ha definito l’Atto di Consacrazione una preghiera dantesca. Che rapporto c’è tra preghiera e poesia?

Ci sono delle affinità profonde. La poesia nasce dal bisogno di parlare con le ombre, di dare corpo e vita a ciò che non ha vita, che non ha nome. È sempre animata dalla ricerca di forze ed energie spirituali. La preghiera è una forma più radicale di poesia che non ha problemi solo estetici, ma finalità diverse, per quanto, poi, certe preghiere ne hanno tutta la bellezza, come i Salmi o il Cantico dei Cantici. Ho appena finito di ritradurre il Cantico dei cantici: quale più bella lode d’amore per la divinità, per un Dio che si manifesta come amore? Questo componimento è una cerniera universale, tiene insieme da una parte la poesia occidentale più significativa – ha influenzato anche i nostri stilnovisti – “Chi è questa che sale dal deserto…? Chi è questa che sorge come aurora?” (Cantico dei Cantici), “Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira…?” (Guido Cavalcanti) – e quella orientale. Nel Cantico è difficile distinguere l’amore per Dio dall’amore sensuale. Anche la principessa indiana Mira Bai, per prendere un altro esempio, scrive per Krishna componimenti d’amore che sono anche per suo marito; c’è identità tra carne e spirito. Ora, sono quelle preghiere o poesie? Nessuno potrebbe negare che siano poesia e contemporaneamente preghiera.

Abbiamo parlato di stilnovisti e di poesia indiana, venendo invece più vicini a noi nel tempo e nello spazio?

Si dice che la poesia di Ungaretti formalmente sia stata influenzata dalla musica del canto dei muezzin che lui ha sentito fino a vent’anni, avendo vissuto per una parte della sua vita ad Alessandria d’Egitto. Se c‘è un poeta cristiano nel Novecento, quello è Ungaretti, e però, formalmente, il senso verticale, allucinatorio del canto del muezzin è rimasto nei suoi versi. Ma il canto del muezzin è una preghiera. Tra preghiera e poesia c’è un’osmosi.

Citando Ungaretti, è forse perché si cela in entrambe un inesauribile segreto?

La poesia privata del senso del sacro, del mistero, la trovo noiosa. Nella poesia, anche se parla dello scalino, del cespuglio fuori della casa, o del parcheggio qui davanti, parlasse anche della minima cosa, vorrei, che ci fosse sempre un retroterra metafisico, il senso del mistero, la domanda del senso delle cose, che è religione, che è preghiera.


Nel suo intervento, da cui siamo partiti per questa conversazione, lei ha definito l’Europa vecchia e malata. È una constatazione molto grave.

Ha ragione Francesco a dire che la Chiesa non è il cappellano dell’Occidente, la Chiesa ha sempre uno sguardo universale, tanto più adesso. L’Occidente è vecchio e malato. Cosa è successo in Occidente in questo ultimo mezzo secolo? Abbiamo avuto libertà, benessere, la mia è stata la generazione più fortunata della storia, ma abbiamo perso tutto quello che è il senso spirituale della vita; esso è andato perduto non solo nei singoli, ma anche nelle strutture sociali. Ormai quando vai in certi paesi, anche di casa nostra, non ti dicono più come punto di riferimento la chiesa o il palazzo del Comune, ma il supermercato. È un’Europa ormai ridotta a mero spazio economico e consumistico. Riprendendo papa Benedetto XVI, perché l’Europa non fa i conti con se stessa? Siamo stati colonialisti, è vero, ma dire che da Colombo a Napoleone sono tutti delinquenti, beh, questo non ci sta. La cancel culture sta facendo delle cose terribili e non si capisce perché non ci si ribelli a questo modo di vedere che porta veramente alla fine. L’Europa non crede più in quello che fa. Abbiamo una complessità culturale talmente vasta e bella…se l’Europa non si riscatta da queste posizioni di nichilismo materialista, vecchia e malata come è, finirà per perdere tutto.

Come se ne viene fuori da questa situazione, quali strade praticabili intravede?

Serve una risorsa spirituale che la faccia tornare ad avere fiducia in se stessa, nella propria cultura, nei propri mezzi. Un rilancio della propria storia. Riflettiamo pure sulle nostre colpe, ma anche sui nostri valori. La gente non legge più i libri o i poeti, ad esempio. Invece poesia e romanzi sono un’educazione a capire l’anima dell’uomo. Come fai altrimenti a capirla, leggendo i dati del PIL? L’Europa, come l’Italia, è stata sognata dai poeti. Shelley, definiva i poeti “i non riconosciuti legislatori del mondo”. Victor Hugo nell’’800 profetizzò e combatté per gli Stati Uniti d’Europa. All’epoca Francia e Germania erano ancora nemiche e già i poeti pensavano ad un‘Europa comune. Un continente basato sul nichilismo e sul mero edonismo materiale, al contrario, non può resistere. Non sono però convinto, come fa invece Spengler, dell’inevitabilità di un determinismo storico; credo che possiamo ancora giocare il nostro ruolo nella storia. Siamo nani sulle spalle dei giganti, ma i giganti ci sono.

Mi riallaccio ad una sua provocazione iniziale: poesia e preghiera stanno diventando sempre più questioni di nicchia. Ha senso scommettere su di esse o è un tentativo disperato?

Lo ripeto, c’è un’ostilità diffusa verso tutto ciò che è incommerciabile. Ma chi lotta nel nome dei valori dello spirito e di valori religiosi, della vita, fa il bene dell’umanità, gli altri no. Anche la poesia, cercano di farla fuori ma non ce la faranno mai. Come ha scritto Hoelderlin, “quello che resta è un dono dei poeti”.

Alessandro Vergni

Versione integrale dell’intervista pubblicata su L’Osservatore Romano del 7 maggio 2022.

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