Cogliere i legami che tengono insieme la realtà è proprio dell’uomo. Abbiamo bisogno di cercare nessi tra cose, persone, fatti, altro perché da essi siamo in qualche modo provocati.
È istinto della ragione. Davanti a quello che accade ci interroghiamo sempre su come sia stato possibile. Così ci avventuriamo in ricostruzioni, analisi, inchieste cercando di venire a capo di quella matassa di dati spesso inestricabile.
Ma anche arrivando a stabilire il come, la concatenazione fattuale per cui si sia prodotto un certo fenomeno, rimaniamo sempre con quel senso di non soddisfazione ultima; una domanda più radicale arde sotto la cenere: perché? Soprattutto: perché a me?
Occorre allora un’azione degna dei palombari che, chiusi nei loro scafandri, corrono il rischio della vita immergendosi nel mistero marino. Ci vuole coraggio per entrare in mare e guardare in faccia quello che là sotto ci attende chiamandoci dagli abissi. D’altro canto, uomini e donne che vogliano dirsi tali, non possono limitarsi a vivere in superficie dove la vita è sicuramente più comoda e scialba. Bisogna prendere fiato, andare giù, perché il mare stesso lo chiede, quasi sapendo la nostra più grande debolezza: trovare un senso alle cose, perché sospettiamo che dietro a tutto ciò si nasconda una felicità possibile per noi.
Scrive Lorenzo de’ Medici in un commento ai suoi sonetti: “Nascono tutti gli uomini con un naturale appetito di felicità, ed a questo come vero fine tendono tutte le opere umane”. Si percepisce una possibilità di felicità se si scopre il senso di quello che ci accade. E iniziamo ad essere lieti, la felicità – non è di queste parti – se iniziamo a comprendere, pur confusamente tra l’acqua torbida delle nostre giornate, che forse un senso ce lo abbiamo anche noi.
È una lotta inarrestabile da condurre in mare aperto e come in mare tutto prima o poi sembra essere divorato dalla ruggine. Il tempo trasforma le cose e il tesoro sembra sottrarsi ogni istante alle nostre mani, così che nasce il sospetto che quello che cerchiamo in realtà non esista. Ma la natura non mente, è vera, e se siamo attratti da qualcosa, quel qualcosa da qualche parte deve pur esserci, anche se non arrivassimo a toccarlo mai. Per questo, la più grande menzogna è negare questo benedetto desiderio, rassegnandoci a fissare il mare dalla barca perché in fondo buttarsi non vale la pena. Accettare il fatto che desideriamo è il primo atto di coraggio per iniziare la ricerca.
Che desideriamo è verità. Dice Bertolt Brecht negli aforismi: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”. Lo sanno i grandi che conservano il cuore dei bambini; me lo ha ricordato in questi giorni la ragazzina che, salendo sul gradino più alto del podio, ha sentito il suo cuore gridare “Adesso sei prima, e non ancora felice”.
Non spegnere questo grido è la responsabilità di chi è chiamato ad educare. Non spegnere questo grido è la prima responsabilità davanti alla vita.
Alessandro Vergni