29 luglio. Un messaggio di mia madre mi ricorda che 83 anni fa i miei nonni in questo giorno si sposarono.
Da questa parte del cielo restarono insieme per 58 anni.
Due caratteri all’opposto, in continua tensione. Ruvidi entrambi, ognuno a modo suo.
Una delle poche volte che andò a confessarsi, al prete che lo richiamava su qualche espressione colorita verso l’Altissimo, mio nonno rispose che lui non voleva, è che gliele tirava fuori lei.
Due panche più dietro, io non sentii niente, ma lo vidi alzare il braccio ad indicare mia nonna nella navata centrale che seguiva la messa con la testa rivolta all’altare.
Lei credeva, diceva. Lui no, ma voleva che tutte le sere che dormivo nel letto con loro recitassi le orazioni con sua moglie.
Del matrimonio mio nonno diceva che sposandosi aveva contratto un impegno con sé, uno con quella donna, uno con la società e che a questi impegni non poteva venire meno.
Nel male e nel bene. Anche lei, se non lo disse, lo fece vedere.
Una concezione laica della vita in cui tutto si legava con tutto.
Due persone tra le più diverse tra loro che abbia conosciuto.
58 anni d’amore impastato con le incomprensioni, col duro lavoro, con la guerra che li tenne separati per anni, lei a casa a mandare avanti la trattoria insieme alla famiglia, lui prigioniero in Germania.
La crescia di due generazioni, instancabilmente presenti, anche ora con la terza in altra maniera.
Gli ultimi anni furono con mia nonna allettata e incosciente, conseguenza di un piede messo giù male scendendo dalla macchina.
La tenerezza di mio nonno in quegli ultimi mesi in cui lei nemmeno rispondeva più se non in qualche brevissimo istante di lucidità. La accudiva come una figlia piccola, con attenzione e dedizione paterna alle cure e all’acqua per alleviare quel peso.
Giorni finali di compimento dell’amore, pieni di una gratuita dedizione tutta da guardare.
Le lacrime di mio nonno per l’ultimo a-Dio, ed io, lì sulla porta, con ancora tutto da capire.
Alessandro Vergni